Tra un’età pensionabile in costante aumento e futuri assegni mensili inadeguati al costo della vita, soprattutto i giovani si trovano davanti ad uno scenario pensionistico instabile e confuso. Il sistema previdenziale statale non consente di guardare al futuro con speranza. Perciò entrano in gioco welfare aziendale e previdenza complementare.
Con sempre più lavoratori che reputano le integrazioni ai fondi pensione essenziali, le aziende devono inserire all’interno di un buon piano welfare una menzione alla previdenza integrativa. Per i dipendenti è altresì fondamentale conoscere tutte quelle agevolazioni fiscali previste quando si aderisce ad uno fondo pensione privato.
In questo articolo parleremo di cosa significa previdenza complementare e come, attraverso TFR e welfare aziendale, finanziarla. Ciò per avere una stabilità economica anche una volta ritirati dal mondo del lavoro.
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Indice
Che cos’è un fondo di previdenza complementare
Per previdenza complementare si intende un tipo di previdenza privata che andrà, attraverso una pensione integrativa, ad aggiungersi alla previdenza obbligatoria. La previdenza complementare si basa su un sistema di capitalizzazione e finanziamenti.
I contributi previdenziali che il lavoratore accredita nel proprio conto dedicato infatti verranno impiegati nel mercato finanziario. Attraverso investimenti mirati controllati da un organo chiamato COVIP, cioè Commissione di vigilanza sui fondi pensione, i fondi versati produrranno anche altri rendimenti.
I versamenti e le rendite prodotte dagli investimenti verranno sommati e usati poi per l’erogazione di una previdenza alternativa a quella statale nel momento del bisogno.
Quali tipi di fondi pensione complementari esistono?
Le forme di previdenza complementare, che si dividono in tra individuali e collettive, sono tre:
- Fondi pensione chiusi (art. 3 del D.lgs. 252/2005): sono limitati a categorie individuate. Si basano su accordi collettivi riguardanti settori o azienda e per questo denominati anche negoziali.
- Fondi pensione aperti (art. 12 del D.lgs. 252/2005): non sono limitati a categorie specifiche. Possono essere sia individuali che collettivi. La particolarità è che sono istituiti da enti come banche, assicurazioni, SGR o SIM.
- Piani pensionistici individuali (PIP) (art. 13 del D.Lgs. 252/2005): sono ad adesione individuale. Comprendono i contratti di assicurazione sulla vita con scopo previdenziale.
I piani previdenziali pensionistici preesistenti al 15/11/1992, cioè prima che entrasse in vigore il Decreto n.124 del 1993 (che poi è stato abrogato nel 2005), hanno regole diverse. Ad esempio possono essere gestiti individualmente senza ricorrere ad un’intermediazione specializzata.
TFR, welfare aziendale e previdenza complementare: come finanziare il proprio fondo complementare pensione
Fondo previdenza complementare tfr: come funziona
Come dicevamo, i lavoratori possono versare i contributi nel proprio fondo pensione privato attraverso il TFR, cioè il trattamento di fine rapporto. Questa possibilità è stata implementata dalla riforma del 2005 per incentivare l’utilizzo di fondi privati per i piani pensione.
Investire il proprio TFR in un fondo pensione è assolutamente un vantaggio fiscale. Il rendimento è infatti maggiore rispetto a lasciare il trattamento di fine rapporto in azienda.
Welfare aziendale nel fondo pensione: come convertire i premi di risultato in previdenza volontaria
Un buon piano di welfare aziendale deve prevedere la possibilità per il dipendente di destinare il credito ricevuto dall’azienda al proprio fondo pensione che sia chiuso, aperto o PIP. Questa operazione è vantaggiosa perché comporta la deducibilità per il lavoratore entro 5.164,57€ come decretato dall’art. 8 del D.Lgs. 252/2005.
3 vantaggi fiscali previdenza complementare
- Al tetto di deducibilità ordinario di 5.164,57€/anno, si possono aggiungere 3.000€/anno in caso questi ultimi vengano destinati da un premio di risultato. Dunque potenzialmente un lavoratore può dedicare alla forma pensionistica complementare 8.164,57€ annui restando entro la soglia di deducibilità.
- I premi di produttività o di risultato convertiti in pensione integrativa sono esenti da tasse anche nel momento in cui il dipendente decide di ritirare i propri fondi complementari. Secondo il regime fiscale vigente per i fondi pensione integrativi, i premi convertiti sono esenti in fase di erogazione anche se già dedotti a livello IRPEF.
- Riguardo al premio di risultato inoltre viene prevista l’esenzione rispetto alle tasse dovute all’INPS. Aziende e lavoratori in questo caso risparmiano l’aliquota prevista del 9,19%. Ciò che viene perso in termini di pensione pubblica viene recuperato in termini di pensione complementare contributiva perciò l’operazione risulta vantaggiosa.